Lo sport come ultimo baluardo dell’umano

Lo sport autentico resterà dominio umano

Viviamo in un’epoca in cui l’evoluzione tecnologica ha preso la forma dell’automazione. Prima furono le macchine a vapore, poi i computer, oggi l’intelligenza artificiale. È una traiettoria costante, antica quanto la storia della tecnica: ogni nuova invenzione sottrae all’essere umano una parte della sua attività. Il lavoro manuale, la scrittura, il pensiero strategico, la progettazione… tutto ciò che un tempo definiva la nostra capacità d'agire e comprendere il mondo è progressivamente demandato ad algoritmi e sistemi automatizzati.

L’efficienza è il criterio dominante. Si cerca di fare meglio, più velocemente, con meno errore. E l’uomo, con la sua fallibilità, diventa un limite da correggere. Così ci si affida a sistemi infallibili, indifferenti alla fatica, insensibili al dubbio. Ma in questa corsa verso la perfezione, perdiamo qualcosa: il senso dell’agire umano.

In questo scenario, lo sport appare come una delle ultime attività che resistono. Non perché le macchine non possano superare l’uomo anche qui – già esistono robot più veloci, più precisi, più forti. Ma perché lo sport non è solo gesto tecnico. È esperienza incarnata, rischio reale, relazione, vulnerabilità. È il corpo che cade e si rialza, il sudore, l’errore, la fatica condivisa. È la vittoria conquistata non solo con i muscoli, ma con la volontà. È una forma di linguaggio che non può essere parlato da chi non ha un corpo che sente e soffre.

Quando guardiamo un atleta che corre, salta, sbaglia, vince, non assistiamo a un’esibizione di potenza, ma a una testimonianza di umanità. È per questo che, anche nel mondo dell’iperautomazione, lo sport resterà uno spazio dell’umano. Non perché non si possa replicare la prestazione, ma perché non si può replicare l’uomo.

In un futuro dove l’intelligenza artificiale penserà per noi, produrrà arte, prenderà decisioni, correre, cadere e rialzarsi potrebbe essere l’atto più radicalmente umano che ci resta.

Anche se gli algoritmi potranno gareggiare, non parteciperanno mai al senso etico, sociale ed esistenziale dello sport.